Santi Pietro e Paolo | Il mistero delle strade per Roma

Vangelo secondo Matteo 16, 13-19

Dopo un lungo cammino attraverso le alterne vicende spirituali della Scrittura, che ci ha rivelato non solo i misteri della creazione e della caduta, della salvezza portata dal sacrificio sulla Croce, ma anche della restaurazione dell’uomo attraverso la Risurrezione del Cristo Salvatore, dell’Ascensione, che ha portato l’uomo nel seno della Santa Trinità, e dell’effusione dello Spirito Santo, che porta frutto in tutti coloro che hanno seguito il Signore, oggi siamo chiamati a essere testimoni viventi del frutto di questi doni meravigliosi.

Questi doni, soprattutto i doni dell’Incarnazione, della Passione, della Crocifissione e della Risurrezione del Signore Cristo, trovano oggi la loro prova più autentica e graziata proprio nell’onore dei Santi Apostoli, i più grandi dei quali sono Pietro e Paolo.

Gli apostoli Pietro e Paolo sigillano le fondamenta della nostra fede, rivelano la verità di ciò che crediamo e, attraverso le loro epistole, le loro testimonianze e la loro predicazione nel tempo e fuori dal tempo, mettono in evidenza ciò che sta al cuore del cristianesimo: il mistero della rivelazione del Salvatore Cristo, il mistero della rivelazione di Dio, il mistero della Vita.

Per arrivare a questa rivelazione, però, dobbiamo vivere, con gli apostoli, un ribaltamento dei valori, come ci dice lo stesso grande Paolo: mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. “ (II Cor. 12,10).

Chi erano i santi apostoli Pietro e Paolo?

San Pietro apostolo, il principale di tutti gli apostoli, figlio di Giona e fratello di Andrea, l’apostolo primogenito, era originario di Betsaida di Galilea. Simone, umile pescatore sulla riva del mare di Tiberiade, riceve il nome di Pietro dal Salvatore Cristo stesso, che “lo guardò e gli disse: Tu sei Simone, figlio di Giona; sarai chiamato Chifa (che è tradotto Pietro)” (Gv. 1:42).

Pietro sperimenta la grazia della confessione – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), ma sperimenta anche la caduta e il rinnegamento – “In verità, in verità ti dico, il gallo non canterà finché non mi avrai rinnegato tre volte (Mt 16,16). (In. 13, 38).

Dopo l’Ascensione del Salvatore al cielo e l’effusione dello Spirito Santo, pieno di coraggio e di grazia, Pietro si dimostra un predicatore ardente: “Quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si aggiunsero tremila anime” (Atti 2, 41). Predica Cristo in Terra Santa, in Asia Minore e giunge fino a Roma intorno al 57.

Durante le persecuzioni dell’imperatore Nerone contro i cristiani, dopo l’incendio di Roma nel 64, viene messo in catene e imprigionato. Viene condannato a morte e giustiziato per crocifissione sulla croce, a testa in giù (su sua richiesta, per profonda umiltà, non ritenendosi degno di morire come Cristo), nel 67, presso il circo dell’imperatore Caligola, fuori dalle mura di Roma, oggi sede della Basilica di San Pietro in Vaticano.

San Paolo, l’apostolo delle genti (Rm 11,13; Gal 2,8; I Tim 2,7), viene convertito sulla via di Damasco dallo stesso Cristo Salvatore: “Chi sei, Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che voi perseguitate. È difficile per te colpire il palo con il piede” (Atti 9,5).

Nato a Tarso, Saulo di nome, della tribù di Beniamino. Discepolo del grande rabbino Gamaliele (At 22,3), diventa un fervente persecutore dei cristiani. È presente al martirio dell’arcidiacono Stefano, il primo martire (At 7, 58), perde la vista per provvidenza divina sulla via di Damasco, inviato con lettere a perseguitare i cristiani (At 9, 1-22), viene battezzato da Anania, dopo una conversione interiore, in seguito a una visione divina.

Paolo, nato dall’acqua del battesimo e dalla potenza della grazia, predica il Vangelo in tutto il bacino del Mediterraneo, dall’Arabia alla Spagna, sia ai Giudei in un primo momento che ai Gentili in seguito. I viaggi missionari di Paolo sono descritti negli Atti degli Apostoli e nelle quattordici epistole giunte fino a noi.

San Paolo apostolo, colui che mise in ginocchio un impero e cambiò dall’interno un intero mondo, ricevette la corona di mucenaecoli e nacque in cielo per decapitazione (come cittadino romano) il 29 giugno 67 (secondo altre fonti 64), durante la persecuzione dell’imperatore Nerone, sul luogo dell’attuale abbazia delle Tre Fontane a Roma (delle tre sorgenti che sgorgarono dove cadde la testa del grande apostolo).

Il più grande miracolo

Nella vita e nell’opera dei due apostoli vediamo un paradosso, qualcosa che sembra incomprensibile: essi danno la vita per Cristo attraverso dure sofferenze, seguendo la parola del Signore – “chi ama la propria anima la perderà, ma chi odia la propria anima in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv. 12, 25). Impariamo, quindi, che qualsiasi cosa facciamo in questa vita senza anteporre Cristo è stoltezza: la Croce senza Cristo è stoltezza, la sofferenza senza Cristo è stoltezza, perché senza Cristo non possiamo trovare alcun significato salvifico in ciò che facciamo – “la parola della Croce è stoltezza per coloro che periscono, ma per noi che veniamo salvati è potenza di Dio” (I Cor. 1, 18).

I santi apostoli, quando rivolgono il loro volto verso Cristo (Pietro, attraverso il perdono ricevuto sulle rive del lago di Gennesaret, e Paolo, attraverso il battesimo ricevuto a Damasco), compiono il più grande miracolo del mondo, la prova della risurrezione e dell’opera dello Spirito Santo: si convertono e danno vita, attraverso il bagno del cambiamento interiore, al nuovo popolo di Dio – i cristiani – che si forma, paradossalmente, da persone che non potevano vedersi negli occhi.

Gli ebrei odiavano i greci e i romani. I greci e i romani disprezzavano gli ebrei. Tutti i popoli conquistati dai Romani erano arrivati a disprezzarsi a vicenda fino a un certo punto. In mezzo a tutto questo, Cristo porta la vera pace, fa di due apostoli (un pescatore conquistato dalla grazia e un rabbino che cambia la direzione della sua vita), attraverso la predicazione, la pietra angolare della Chiesa – una ricreazione del mondo con la forza della grazia.

Dai dodici apostoli, ai quali si aggiungerà il tredicesimo, Paolo, il numero dei fratelli aumenta dopo l’Ascensione a centoventi (Atti 1,15) e dopo la Pentecoste a tremila (Atti 2,41). La potenza della grazia rende possibile l’impossibile e fa diventare realtà l’inimmaginabile.

La nuova realtà che sta nascendo è una realtà che va oltre le divisioni religiose del tempo, oltre il pagano e il giudeo, il popolo eletto e i gentili, oltre le divisioni basate sull’etnia, sulla posizione sociale o sul genere – perché nella Chiesa “non c’è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti ” (Col 3,11).

Gli Apostoli si mostrano come i fondatori di questo nuovo mondo nato dalla potenza della grazia. La Chiesa dello Spirito Santo, questa nuova realtà che ci lega a Dio e che si estenderà a tutta l’umanità. Questo è il progetto che gli apostoli stanno realizzando e loro due, Pietro e Paolo, che oggi celebriamo, sono la sintesi e il compimento di tutta l’apostolicità del Nuovo Testamento.

Tutte le strade portano a Roma

La vita di tutti i santi apostoli è stata una vita di persecuzioni, dolore e ostilità. All’inizio sperimentarono più che altro il rifiuto e la persecuzione, il rifiuto di un mondo intero che portava l’impronta del paganesimo – una civiltà, una cultura, un impero che sembrava immutabile, eppure furono tenaci e andarono da Gerusalemme al cuore di Roma, al cuore di una città pagana e di un impero divinizzato, dell’allora Cesare, proprio per cambiarlo dall’interno.

Passano trentacinque anni dalla croce sul Calvario fuori dalla città di Gerusalemme fino alla croce abbracciata da Pietro fuori dalle mura della città di Roma. Passano trentacinque anni dal martirio del primo martire e arcidiacono Stefano, fuori dalle mura di Gerusalemme, dove egli vede i cieli aperti e la gloria di Dio (At 7,55), al martirio di Paolo, fuori dalle mura di Roma, sulla strada per Ostia. Come tutte le cose sono iniziate – il mistero della morte che porta la vita – così si compiono, questa volta Roma diventa la nuova Gerusalemme.

Alla periferia di Gerusalemme, Cristo muore – Gerusalemme non accoglie Dio, ma lo getta fuori dalle mura, come ha fatto con tutti i profeti dell’Antico Testamento – la presenza di Dio disturba, perché rivela la verità: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho desiderato raccogliere i tuoi figli, come un uccello raccoglie i suoi piccoli sotto le ali, ma tu non hai voluto” (Lc 13,34). Una generazione dopo, è Roma che non accoglie gli apostoli, ma li porta fuori dalle mura della città per ucciderli.

Essi muoiono alla periferia, nell’anonimato, ma è quell’umile periferia che salva e rinnova e dà una possibilità a tutto l’impero romano di allora, che sarebbe diventato un impero in cui sarebbe nato il cristianesimo – una misteriosa metamorfosi. La morte del Signore sulla croce riveste gli apostoli di potere e la loro morte sarà il primo seme da cui germoglierà il mistero del cristianesimo.

I due apostoli, che vediamo sprofondati nella grazia nel misterioso abbraccio che l’iconografia ci ha lasciato, sono coloro che hanno dato una nuova identità all’Europa e al mondo intero. Questa identità spirituale, teologica e cristiana, che la società secolarizzata di oggi sta cercando di cancellare, tornando alle ombre di una pallida identità – dopo duemila anni, la città di Roma di questo mondo sembra voler spingere il Vangelo predicato dagli apostoli alla periferia.

Tutte le strade portano a Roma, e sono i cristiani, gli apostoli, che sono entrati nel cuore e nel cuore di Roma, nel cuore della cultura, nel cuore della civiltà di allora, e qui hanno gettato il grano della sua trasformazione a immagine di Cristo, nella potenza dello Spirito Santo – “se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; ma se muore, porta molto frutto” (Gv. 12:24).

Amore fino alla morte

Qual è la forza che ha portato gli apostoli, dopo la Pentecoste, a viaggiare per tutto il mondo, subendo dure prove, persecuzioni, dolori, solo per predicare Cristo? – Fino a questo momento noi abbiamo fame e sete. Siamo nudi, schiaffeggiati e senza fissa dimora, 12 e ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani; ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo; 13 siamo diventati, e siamo tuttora, come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti” (I Cor. 4, 11-13).

L’amore per nostro Signore Gesù Cristo è la forza che muove l’universo. Amore fino alla fine, amore fino al sangue e alla morte. Il martirio è il segno più profondo e più grande dell’amore autentico: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare l’anima per i propri amici” (Gv. 15, 13).

L’amore per Cristo provato fino alla fine, ecco il mistero nascosto. E questo fine è nascosto nel mistero del martirio. Il sangue degli apostoli divenne il seme del rinnovamento di un mondo nuovo, come disse Tertulliano, e cambiò il corso di un impero, il corso della storia e il corso dell’umanità intera.

“Simone figlio di Giona, mi ami tu più di costoro?” (Gv. 21, 15)

Quel “mi ami?”, detto dal Salvatore Cristo a Pietro, quando apparve sul mare di Galilea, nella prospettiva più profonda non significa altro che “morirai per me?”. Il primato dell’apostolato sta proprio nel potere di abbracciare il mistero della morte, il mistero del martirio, il mistero del sacrificio consumato fino in fondo. Solo chi è pronto a dare la vita (per primo!) può diventare il “buon pastore” che pasce gli agnelli del Signore.

Il segno ultimo dell’amore e il criterio ultimo dell’apostolato è proprio la capacità di sacrificarsi, di immolarsi, di saper andare oltre se stessi per dare tutto per Cristo. Chi dice di amare, ma non è capace di abbracciare il mistero della sofferenza e della morte, non ama veramente.

“Gesù rispose e gli disse: Beato te, Simone, figlio di Giona, perché questo non te lo ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 17-18).

Teodoro di Mopsuestia chiarisce che la fede è la vera roccia su cui Cristo costruisce la sua Chiesa: “Questa testimonianza non è solo di Pietro, ma proviene da tutti gli uomini”. Dopo aver detto della testimonianza di fede di Pietro che è come una pietra, Cristo disse che su questa pietra avrebbe edificato la sua Chiesa, cioè sulla stessa confessione e fede. Perciò, rivolgendosi a Pietro, il primo che chiamò con questo nome, a causa della sua confessione, gli diede anche questo potere che indicava come sue le ricchezze comuni e speciali della Chiesa”.

Il Vangelo di oggi ci parla proprio della testimonianza di Pietro, il confessore degli apostoli, una testimonianza che viene in risposta alla domanda posta dal Signore: “Chi dicono gli uomini che io sia?”. (Mt 16,13) La stessa domanda ci viene posta dal Signore in ogni Santa e Divina Liturgia, nella nostra vita quotidiana e nel nostro vivere quotidiano: Chi credete che io sia? Solo con una fede forte possiamo diventare seguaci di Pietro e testimoni viventi della grazia che ha mosso il suo cuore.

Vorremmo che il Signore fosse l’operatore di miracoli nella nostra vita, e lo è davvero. Vorremmo che il Signore fosse un guaritore e un portatore di salute, e lo è davvero! Vorremmo che il Signore esaudisse tutti i nostri desideri, e in effetti li esaudisce. Ma il Signore si aspetta qualcosa di più da noi. Il Signore si fa Figlio dell’uomo, in attesa che l’uomo lo scopra come Figlio di Dio e vero Re.

Tutti noi desideriamo il benessere, la realizzazione, la salute, la gioia e il soddisfacimento di tutti i nostri bisogni. Ma è per qualcos’altro che il Signore onora Pietro, perché ha trovato la Vita e l’ha glorificata. Trovare Cristo nei nostri cuori, svuotarci di tutto ciò che è passione, malizia, invidia, tutto ciò che ci separa dalla Chiesa e da Cristo – questo è il messaggio del Vangelo con cui ci incamminiamo oggi.

“E vi darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19).

Epifanio il Latino traduce così chiaramente il passo evangelico, che nel corso dei secoli è stato spesso male interpretato, soprattutto negli strati più deboli del mondo cristiano: Poiché Cristo stesso è una pietra che non può mai essere abbattuta o scossa, Pietro riceve da Lui il suo nome, un nome che significa la fede salda della Chiesa.

Il diavolo è l’ingresso della morte, che ha sempre fretta di suscitare problemi, tentazioni e persecuzioni contro la Chiesa. Ma la fede degli apostoli, fondata sulla roccia di Cristo, rimane incrollabile e senza scosse. E le chiavi del regno sono state ulteriormente trasmesse, affinché chiunque sia legato in terra sia legato in cielo, e chiunque sia sciolto in terra sia sciolto in cielo”.

La roccia della fede, la roccia della confessione, la roccia della grazia che rivela la verità, ci conducono alla roccia di Cristo, che rimarrà salda per sempre – “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 29,20).

Il mistero dell’apostolato

Oggi abbiamo imparato che la Chiesa che non è apostolica, che non segue l’esempio degli apostoli, non può essere veramente la Chiesa di Cristo Salvatore – una Chiesa del sacrificio e del sacrificio che ci porta alla vita eterna.

L’apostolato è una proprietà ontologica della Chiesa e deve essere una proprietà di tutti noi. In un certo senso, siamo tutti chiamati all’apostolato, attraverso la scuola del Vangelo, attraverso la scuola del cristianesimo, attraverso la scuola dell’abnegazione, per fare più spazio a Dio.

Oggi abbiamo imparato dai santi apostoli che l’amore è più potente della paura, del ripudio, della persecuzione, di tutte le debolezze che li hanno combattuti, l’amore perfetto li ha resi santi a immagine di Cristo, con la forza dello Spirito, che si è mostrato perfetto nel lavoro missionario e apostolico.

Oggi ci rivestiamo della veste della gioia, perché celebriamo coloro che hanno costituito il nuovo popolo di Dio, un popolo nato attraverso la fede e la testimonianza degli apostoli – che ha raggiunto la misura “dell’uomo perfetto, la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13), – coloro che hanno saputo bruciare nella (e attraverso la) fiamma dell’amore per il Cristo Salvatore fino alla fine.

La festa di oggi sintetizza i misteri della rivelazione di Dio e della sua opera nel mondo per la nascita di un nuovo popolo, chiamato ad essere un popolo apostolico, il popolo cristiano, il popolo giusto – “e Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). Tutti noi siamo membri viventi di questo popolo, un popolo nato dall’amore divino, un amore che è andato fino al sacrificio, un amore che ha saputo abbracciare la morte da cui è scaturita la vita per sempre.

Voi che tra gli Apostoli occupate il primo trono, voi maestri di tutta la terra, intercedete presso il Sovrano dell’universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la grande misericordia. “. (Tropario dei Santi Pietro e Paolo)

† Atanasie di Bogdania